Digital footprint

La nostra impronta digitale e quello che spesso non immaginiamo di condividere

Andrea Lazzari
freeuser
Published in
8 min readMar 27, 2016

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Un venerdì qualunque, oppure una domenica. Cosa cambia? Di fatto un giorno come tanti altri nelle nostre vite. La necessità di viaggiare per lavoro o per svago, la comodità di prenotare il viaggio in ogni sua parte, sprofondati nell'ozio del proprio divano casalingo.

La destinazione la conosciamo già ma, al netto delle nostre competenze in geografia, una sbirciatina a Google Maps la diamo sempre prima di partire, anche solo per avere un’idea di quale possa essere il mezzo migliore per raggiungere la nostra meta.

Accendiamo afferriamo lo smart-coso di turno (o nostro portatile), accediamo a Google Maps e il browser ci suggerisce di consentirgli l’accesso alla nostra posizione.

Ma come sul portatile c’è il GPS? No, o almeno non nel senso stretto del termine.

Il wifi non serve solo per la connettività, la buona Google Car, oltre alle foto delle nostre strade, con Street View, ha anche preso nota degli SSID delle wifi che incontrava sul suo cammino così che, oggi, WiFi possa fare rima con coordinate geospaziali. Clicchiamo su “Consenti” (se siamo da mobile device l’accettazione è quasi tacita) e la posizione punta con estrema precisione sopra la nostra testa: “Figata!” Direbbe qualcuno. Click! Fatto!

Scegliamo mentalmente il mezzo migliore e ci dirigiamo sul sito per effettuare la prenotazione, “Com’è che era l’indirizzo? Vabè ricordo solo il nome: Uso quello”. Dal motore di ricerca alla prenotazione è questione di un click, “tanto è il primo della lista”. Click! Fatto!

Se siamo dei viaggiatori seriali sicuramente non ci saremmo fatti scappare “l’opportunità irripetibile” di diventare socio e di accumulare tanti punti quanti sono i kilometri o gli euro spesi.

In tre/quattro click (forse qualcuno di più) acquistiamo il nostro titolo di viaggio. E’ facile cercare l’opzione giusta quando l’operatore ci suggerisce tratta, percorso e orario. “Bello questo sito. Non mi devo sbattere nemmeno per comprare un biglietto! Click! Fatto!

Pagarlo diventa un altro film.

“La carta di credito dove l’ho lasciata? Cavolo! In macchina? O nell’altra stanza? Forse è al piano di sotto vabè” non ci sbattiamo troppo, infondo c’è PayPal tra gli strumenti di pagamento. Username, password e la nostra carta è lì pronta e preautorizzata per l’uso. Click! Fatto!

Arriva la notifica di avvenuto pagamento e di lì a poco il biglietto elettronico non si fa attendere. Allegato al biglietto arriva un evento del calendario che accetto volentieri, “Così ho a disposizione il biglietto quando passeranno a verificarlo”. Click! Fatto!

Finalmente si parte, e “Toh! Guarda! Lo smart-coso mi ricorda di partire ora se voglio arrivare in tempo”. In effetti apriamo la notifica e ci accorgiamo che, a causa di un incidente, c’è un traffico terribile “Per fortuna mi ha avvertito. Sarei sicuramente arrivato in ritardo.

Arriviamo in stazione (abbiamo comprato un biglietto del treno se non si era capito) e il tabellone non funziona (o lo hanno rubato visto che manca, chi lo sa?) “Hop Hop gadget-coso” — *poff* — Schiacciamo l’app, pigiamo dentro il numero del treno e, guarda caso, è in ritardo. “Pazienza leggerò qualcosa nel mentreTap! Fatto!

Il nostro account da social-addicted è lì che ci aspetta (Twitter, Facebook e Google Plus o permutazioni senza ripetizioni di questi, il succo non cambia). Leggiamo interessati i fatti di Tizio e di Caio e magari condividiamo il nostro dissenso per il ritardo del treno: “Solito ritardo alla partenza: comincia bene la giornata!”. Il piccolo compasso (bussola) nella casella di testo ci ricorda che stiamo inviando insieme al nostro stato emotivo, anche le coordinate geografiche in cui ci troviamo.
Stazione = cattivi pensieri. Tap! Fatto!

Mentre passeggiamo come rabdomanti su e giù per la banchina, intorno a noi insegne dallo sfondo tipicamente giallo ci ricordano che siamo ripresi “per motivi di sicurezza”. Ci guardiamo intorno alla ricerca del fantomatico terrorista che di lì a poco potrebbe farsi saltare in aria ma, tra signore pacioccose e viandanti puzzolenti, non individuiamo nessun terrorista dinamitardo. “Chissà se quelle informazioni vengono utilizzate anche per altro…” e se anche fosse figurati se ce lo dicono.

Il viaggio comincia e, a intervalli regolari, il nostro smart-coso comunica la nostra posizione al fornitore di servizio gratuito (Apple, Google o Microsoft che sia). Ricordiamoci che il prodotto siamo noi e, come ogni buon prodotto, portiamo con noi la tracciatura di provenienza, alimentazione e macellazione, come una sana bistecca di manzo “Social-addicted DOP”.

A destinazione (Bologna, Milano, Firenze, Roma…) lo smart-coso quasi non riesce a navigare vista l’elevata percentuale di smart-cosi nelle vicinanze. Le povere antenne ripetitrici tengono il colpo giusto per le comunicazioni telefoniche mentre la banda per internet è bella che ridotta all’osso. (Tranquilli! Lo smart-coso continuerà a registrare tutto mandando il pacchetto dati a destinazione non appena le condizioni gli saranno favorevoli). DLIN DLON, Benvenuti alla stazione di … ! Ops c’è campo! Fatto!

Usciamo dal vermone di metallo come fossimo schegge impazzite, ognuno teso e spedito verso la propria destinazione. Attraversiamo inconsapevoli decine e decine di ripetitori WiFi che mollano la presa non appena il segnale è troppo basso: una massa di persone che si sposta verso il mezzo di trasporto desiderato. ALT!

WiFi = Posizione; Stazione = Videocamere; Massa di persone = tanti smart-cosi

Immaginiamo di vedere dall’alto la stazione, in pianta, come in un film di fantascienza. La massa di persone identificata da una miriade di puntini in movimento, noi.

Scegliere una strada piuttosto che un’altra sarà anche qualcosa di inconscio, ma se queste informazioni fossero utilizzate per piazzare baracchini pubblicitari o mettere cartelloni? E se la logistica degli spazi fosse organizzata per “pilotare involontariamente” la massa di persone che escono dal treno?

Potrebbero agevolare la fuoriuscita dallo stabile magari invogliando il passaggio davanti ai negozi o piazzando un bel mega-cartellone proprio lì dove si forma il collo di bottiglia in modo tale da aumentare le probabilità che il nostro sguardo incroci il mega-faccione o l’improbabile slogan. “Ma no! Mica ci tratteranno come scimmie ammaestrate”. Tuttavia non ci giurerei fossi in voi.

Lo stomaco suona l’ora del pasto. Cavolo non abbiamo fatto la sosta al bancomat, ma che importa, “siamo immersi nella modernità. Con una bella E o una I davanti (dipende da quanto siamo fanboy) anche la moneta si fa elettronica”.

Caffè + cappuccino, panino, piada, burger-menù o quel che vi pare, non c’è niente che non si possa comprare con la nostra carta di credito/bancomat/wallet digitale. Il commerciante di turno ringhierà un po’ vedendosi parare davanti un pezzo di plastica al posto del contante per pagare 3,50 di “Menù mattina”.

Così va la vita. Una commissione a te, le informazioni delle mie transazioni elettroniche alla banca/circuito/processor. Luogo, data, ora e importi sono un piccolo prezzo da pagare per avere in cambio la comodità del credito dove e quando serve. Zap! Fatto!

Si parte per la giornata lavorativa che, se va male, trascorrerà in maniera sedentaria davanti ad una scrivania, se va bene, ci vedrà impegnati come una pallina da flipper in giro per la città: trasporti, biglietti, info-mobilità.

Paline che ci informano sullo stato dei ritardi, applicazioni mobili che ci aiutano a trovare il percorso più veloce per arrivare a destinazione, ausili indispensabili per la vita in una moderna città.

I denominatori comuni sono efficienza e velocità, la tecnologia è indispensabile per non morire soffocati dalle informazioni, lo smart-coso è il nostro timoniere, noi siamo solo la forza motrice. Caos? Schivato!

La sirena suona, si torna a “casa”.

Mezzi e contro-trasporti ci permettono di arrivare a casa ma, prima, una tappa al “super-mega-store-della-distribuzione alimentare organizzata: piccola, vicina, conveniente e sottocasa”.

Se sei un cliente abituale puoi prendere un pad-coso (antesignano dello smart-coso) per velocizzare la tua spesa. E’ tardi e l’unica cosa che vuoi, ora, è spalmarti sul divano o sul letto.

Passeggiatina per i corridoi del mega-super-iper-lungo-store alimentare con il pad-coso, verificando prezzi e mettendo nel carrello quello che ci serve. Arriviamo alla cassa prioritaria per pad-cosi, consegniamo il dispositivo con la lista della spesa e con l’elenco anche di tutto quello di cui abbiamo verificato il prezzo per curiosità ma che alla fine non abbiamo comprato: “Ha la carta fedeltà?” “Ehm, no mi spiace”, tanto mica serve, il pad-coso lo danno solo ai soci quindi il pad-coso sei tu.

Fanno settordici euro”. Carta di credito, PIN o Firma, imbusti e te ne vai.

Ora quei prodotti hanno anche un nome e un cognome, mai paghi sanno anche che percorso abbiamo fatto per raccattare la cena dagli scaffali. Come? Prodotto dopo prodotto poi, come con la settimana enigmistica, unisci i puntini.Può ritirare la carta”. Grazie!

La giornata volge inesorabilmente al termine. Dopo la cena ognuno si diletta come può o come più gli aggrada guardando un film, oppure interagendo sui socia-portaloni o ancora leggendo un libro che, oltre ad essere sicuramente una buona abitudine, di certo non trasmetterà a nessuno il numero di pagine lette per giorno insieme all’ultimo segnalibro che abbiamo messo per tenere il segno, a patto che sia una fantastico libro di carta.

Digital footprint — La nostra ombra digitale

Notte.

Piccolo quiz per quelli che sono arrivati fin qui

Vi faccio una domanda. Anzi, più d’una:

  • Quanti e quali dati inviamo ogni giorno in giro per la rete?
  • Quante fonti dati siete riusciti a individuare in questo articolo?
  • Quante fonti non ho inserito, volutamente o per distrazione, in questo breve fanta (mica tanto) racconto?

Buona riflessione.

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I'm interested in cybersecurity, computer forensics, ethical hacking and web technology! MOTD: Paranoia is a virtue!